lunedì 15 giugno 2015

DUE CHIACCHIERE CON... GIANNI SEDIOLI



 Gianni Sedioli, un uomo che ha coronato il suo sogno: disegnare Zagor. E a che cosa si può aspirare dopo aver realizzato un sogno?
Caro Federico, permettimi di correggere il tiro: il mio sogno era di riuscire a vivere di fumetto. La mia scommessa era questa, riuscire a “campare” con quello che più ho amato nella mia infanzia e vivere di una passione sfrenata. Poi, una volta riuscito a collaborare con la Bonelli, non potevo non tentare di disegnare Zagor, che è stato il mio personaggio preferito dall'età di 8 anni, l'unico personaggio che abbia mai collezionato e che riconosco quasi come un fratello maggiore! Ora spero di continuare a contribuire, come disegnatore, alla lunga storia editoriale di Zagor e, semplicemente, fare bene quello che ho sempre fatto fino ad ora. Già di tanto in tanto ho prestato i pennelli a campagne pubblicitarie e ad altre esperienze grafiche non propriamente fumettistiche, per cui ho avuto già modo di esprimermi in altre maniere al di fuori del fumetto. Mi piacerebbe trovare il tempo per dipingere astrattissimi quadri ad olio tanto per liberarmi delle forme che caratterizzano il mio lavoro e -perché no?- come tutti gli italiani, ho intenzione, prima o poi, di scrivere un romanzo, sicuramente demenziale, come terapia per curare la follia latente tipica di tutti i creativi che conosco.
Lo Zagor di Gianni.
Per essere un disegnatore che ambiva a disegnare Zagor, il tuo percorso professionale per arrivarci è stato però piuttosto distante dal western, anche quando ti sei dato all'autoproduzione. Come mai?
Il mio percorso non era mirato fin da subito al western (anche se in Zagor si tratta di un western atipico), ma ho seguito la mia determinazione nell'arrivare a lavorare nel fumetto e, da autodidatta quale sono, dovevo riuscire a proporre agli editori qualcosa di concreto. Inizialmente il mio tratto tendeva molto più al genere umoristico che non al realistico, infatti la mia prima esperienza pagata è stata disegnare e scrivere per Tiramolla! In seguito mi capitò un'occasione con un piccolo editore che però voleva un disegno più realistico e allora il mio stile si adeguò alla necessità. Al momento della mia autoproduzione seguivo attentamente Scott Campbell e il suo Gen 13, trovavo il suo stile grottesco-cartoon veramente accattivante e impostai il mio The witch a quella maniera e fu una vera fortuna, poiché è stata quest'esperienza che mi fece incontrare Antonio Serra attraverso il povero Michele Pepe. Dopodiché arrivò Jonathan Steele! Quindi, partendo da Tiramolla a Zagor, il percorso è stato sì tortuoso, ma guidato da una certa concretezza, dal fatto che dal mio lavoro dovevo riuscire a guadagnarci qualcosa per dimostrare a casa che con i fumetti ci si poteva anche vivere e di conseguenza dovevo avere una certa adattabilità per non perdere le occasioni che via via mi si presentavano davanti.
Jonathan Steele.
Non mi capita spesso di incontrare altri disegnatori con un entusiasmo pari al tuo (e per il fumetto tutto, non solo per il tuo lavoro), ricordo che quando lavorammo alla tua prima storia di Jonathan, praticamente arrivati a metà (era in due albi!) non ti limitasti ad apportare le correzioni indicate, ma in pratica la ridisegnasti da capo! Come riesci a non trasformare il tuo lavoro in una routine? Hai qualche segreto?
Vedi, prima di disegnare fumetti ho lavorato come operaio e come rappresentante per cui ho sempre avuto la consapevolezza della fortuna che si aveva, come dicevo prima, di poter lavorare e vivere di una passione; il fatto poi di essere autodidatta mi ha permesso di avere l'umiltà necessaria di ascoltare ogni cosa mi venisse detto dai professionisti del settore e quando alla prima storia di Jonathan mi resi conto che il problema non era tanto correggere qua e là le cose, ma era proprio una questione d'impostazione -avevo adottato un tratto tropo grottesco per la Bonelli di quei tempi- non esitai a ridisegnare tutte le prime 40 tavole della storia! Quindi l'entusiasmo viene da qui, dalla consapevolezza della fortuna di poter disegnare e dall'umiltà di imparare e ascoltare chi, di quel mestiere, ne sa di più! In questa maniera non esiste routine poiché basta andare in edicola per scoprire quanto ancora ci sia da imparare giorno dopo giorno, anno dopo anno.

La Bonelli sembra aver imboccato una strada che non contempla solo il fumetto. Zagor è coinvolto in qualche iniziativa legata ad altri mezzi di comunicazione, che tu sappia (o possa dirci)?
Sì, ho visto che alla Bonelli si stanno muovendo in tal senso, ma per Zagor, che sappia io, tutto continuerà alla vecchia maniera... Al limite, spero ne facciano prima o poi una serie cartoon, avrebbe materiale a non finire da poter sfruttare!
The Witch, l'autoproduzione di Gianni in stile Campbell
Tu non sei certo diffidente di fronte alle novità tecnologiche. Che peso ha oggi il computer nel tuo lavoro? Sei passato al digitale o utilizzi ancora carta, matita e china per realizzare le tavole?
Non ho problemi per quanto riguarda la tecnologia, già nel 1997 usavamo il computer per fare gli effetti di grigio su Jonathan. Su Zagor, però, l'utilizzo di questo non è al momento necessario per cui disegno ancora alla vecchia maniera: matita e pennello. Diverso il caso delle mie occasionali collaborazioni in campo pubblicitario, dove il computer è ormai diventato uno strumento abituale di lavoro.

A parte Agenzia Incantesimi, ti capita di seguire altri fumetti su Internet? E, nel caso, che differenza vedi fra queste autoproduzioni e quelle, su carta stampata, che anche tu hai realizzato fino a metà degli anni Novanta?
Ho visto fumetti su internet e per un certo periodo mi ero anche abbonato al sito della Marvel per i fumetti digitali. Personalmente preferisco sfogliarli a mano, i fumetti, che non scorrerli sul monitor ma mi rendo conto di come la tecnologia sia una grande opportunità, soprattutto per i giovani esordienti: offre infatti una grande visibilità e la possibilità di abbattere decisamente i costi di produzione. Nel 1996, quando decisi di autoprodurmi, dovetti chiedere un prestito in banca tanto costava stampare su carta!!!
Agenzia Incantesimi
La domanda di rito: Myriam o Jasmine?
Myriam!!!

martedì 2 giugno 2015

DUE CHIACCHIERE CON... MARCO CHECCHETTO


Ciao, Marco. Vorrei iniziare con un tuo parer sul rapporto fra videogiochi e fumetto, visto che tu hai collaborato,come illustratore, anche ad alcune riviste di videogiochi. Da giocatore io stesso, non posso fare a meno di trovare una grandissima creatività, nei videogiochi, soprattutto andando poi a sbirciare i blog dei vari illustratori che vi collaborano come designer. Eppure nell'ambiente del fumetto, per molti anni, i videogiochi sono stati visti come "rivali" o addirittura usati come termine di paragone negativo (esattamente come accadeva -o forse accade ancora- al fumetto quando si parla di cinema). Mi sembra che invece, in altri paesi, ci sia una maggiore sinergia, fra questi due mezzi di comunicazione. Puoi confermarlo o smentirlo, nella tua posizione privilegiata di disegnatore che lavora per gli Stai Uniti?
La cosa divertente è che quello che mi appassiona di più nei videogames è la parte creativa. Mi piacciono le storie ben raccontate, il lavoro di design e l'attenzione per i particolari. Compro molti artbook, ma in alcuni giochi fermo letteralmente il gameplay per guardarmi attorno e ammirare i dettagli inseriti dagli sviluppatori. Giochi come The Last of US, Uncharted o Metal Gear Solid vanno aldilà del semplice "giochino". Per me abbattono quel muro fra media e diventano opere (passami il termine pomposo) fruibili al pari di un grande film o di un bellissimo fumetto. Per me non esiste un media superiore, cerco di godermeli tutti e di prendere il meglio da ognuno di essi. Nel nostro lavoro trovo sia essenziale rimanere aggiornati per non correre il rischio di diventare stilisticamente "vecchi". Comprare e leggere fumetti, andare al cinema e giocare con i videogames per me è parte integrante del mio lavoro.

A parte essere d'accordo, da sceneggiatore vorrei giusto aggiungere che The Last of Us potrebbe anche essere usato per insegnare sceneggiatura nelle scuole. Al di là dell'aspetto grafico impressionante, ultimamente non è così infrequente trovare nei giochi delle storie e dei dialoghi ben scritti, ma quelli di TLOU potrebbero essere trasposti fedelmente in un film o in un romanzo, tanto sono efficaci e anche raffinati. Persino il doppiaggio italiano era migliore rispetto ai soliti standard.
Okay, stiamo divagando!
L'Uomo Ragno di Marco in azione.
Torniamo in tema fumettistico. "L'invasione" italiana negli Stati Uniti è avvenuta in due fasi. La prima ha avuto luogo circa a metà degli anni Novanta: pochi autori, poco avvezzi ai ritmi di produzione e ai metodi di lavoro americani, e impatto sul fumetto statunitense pari allo zero. Tant'è che alcuni di loro (forse quasi tutti) sono poi tornati a lavorare in Italia. La seconda e più recente fase, cui tu appartieni, annovera invece un numero di autori ben maggiore (contando solo quelli che ce l'hanno fatta!) che lavorano regolarmente a testate anche molto importanti. Secondo te questa differenza è dovuta a una diversa attitudine fra i due gruppi di autori o a qualche cambiamento avvenuto nel mercato americano?
La seconda fase di autori ha sicuramente un alleato in più.... Internet! :D Oggi è molto più semplice comunicare con gli States. Ci sono modi più veloci per condividere il proprio lavoro e di avere feedback immediati. Posso inviare le ultime tavole anche ad un'ora dalla messa in stampa. Una volta tutto questo era impensabile. Per quanto riguarda il metodo di lavoro, non saprei. In America è sempre stato così. Ogni disegnatore aveva la sua serie e doveva produrre in media un numero al mese. Le cose non sono cambiate, ma è più difficile oggi mantenere una media così alta perché il livello di dettaglio richiesto dal mercato è sicuramente aumentato. Il lettore vuole vedere una New York riconoscibile, l'astronave uguale a quella vista nell'ultimo film o l'armatura super dettagliata e più realistica. Credo che sia un discorso soggettivo che varia da disegnatore a disegnatore.
Il Punitore... In compagnia!
Attualmente stai lavorando sia per la Marvel americana che per la Panini in Italia, giusto? Ci sono grandi differenze nel metodo di lavoro fra un mercato e l'altro?
L'unica differenza è che in Panini Comics il personaggio è mio (e di Stefano Vietti). Quindi sono l'editor di me stesso. A parte questo il lavoro è del tutto uguale. Mi piace lavorare su serie in cui lo sceneggiatore chiede la mia opinione o in cui ci si possa scambiare idee. In Marvel sono totalmente libero di proporre quello che voglio e ho avuto la fortuna di collaborare quasi sempre con fantastici sceneggiatori. La collaborazione fra me e Stefano è molto stretta, abbiamo la stessa visione di quello che vogliamo raccontare e spero che questa sinergia si possa vedere sulle pagine di Life Zero. Anche per quanto riguarda i colori non ci sono differenze, ma solo perché su entrambi i fronti ho la fortuna di lavorare con Andres Mossa.
La tua esperienza nel seriale italiano è limitata a Jonathan Steele, Agenzia Incantesimi e a una collaborazione all'Insonne di Giuseppe Di Bernardo. Riproporti adesso in questo mercato, anche per collaborazione estemporanee nella veste di "guest star", può essere uno sfizio che ti vorrai togliere o il formato italiano ti sta stretto?
Non ho mai amato particolarmente il "formato italiano", ma su alcune testate vedo molta più "libertà" (passami ancora il termine) adesso. Su Orfani, ad esempio, ci sono delle soluzioni grafiche spettacolari. Quindi sì, tornerei, magari su qualcosa di mirato, mi piacerebbe sicuramente.
Dal primo episodio di Agenzia Incantesimi.
E' indubbio che il fumetto digitale stia crescendo, negli ultimi anni. Ne segui qualcuno? Pensi che possa costituire una valida alternativa all'editoria tradizionale?
Mentirei se ti dicessi che seguo il fumetto digitale. Compro qualcosa ogni tanto, ma leggere su tablet o a schermo non mi piace. I fumetti che compro poi sono gli stessi che trovo anche su carta quindi... Sul fatto che possa essere una valida alternativa invece si, perché no? In molti sono passati dal web ai classici editori con ottimi risultati.

Concludiamo con la domanda di rito: Myriam o Jasmine?
Azz.. non si può fare a targhe alterne? :)
Myriam (fata) nella versione di Marco.